Il ruolo dei Nutraceutici nella gestione del rischio cardiovascolare

16 febbraio 2018 | Ore 8.00 | Sala Capitolare presso il Chiostro del Convento di Santa Maria sopra Minerva – Piazza della Minerva 38 – Roma

La comprensione del ruolo delle lipoproteine a bassa densità nel determinare il rischio di malattia cardiovascolare e la disponibilità di terapie in grado di agire su livelli elevati di LDL ha trasformato le strategie terapeutiche per la riduzione delle malattie cardiovascolari negli ultimi 30 anni.
La ricerca epidemiologica, di base e clinica, ha portato infatti allo sviluppo di strategie mediche molto efficaci nel controllo del colesterolo LDL e del rischio cardiovascolare non solo con l’uso di farmaci, ma anche con terapie nutraceutiche molto avanzate, associabili o da sole, che comportano una riduzione significativa del rischio cardiovascolare, senza indurre aumenti indesiderati dei casi di morte per altre cause o effetti collaterali importanti. Nel loro insieme queste evidenze hanno contribuito a definire il ruolo della terapia ipocolesterolemizzante, di riduzione delle LDL, che si configura ormai come uno dei caposaldi della prevenzione e della terapia delle malattie cardiovascolari.
A dispetto, comunque, di queste evidenze, i dati dell’ISS ci dicono che solo il 25% degli uomini ipercolesterolemici e il 18% delle donne ipercolesterolemiche raggiunge gli obiettivi terapeutici. Infatti, molti soggetti, seppur consapevoli di essere portatori di questo fattore di rischio, non sono in trattamento.

Ciò appare in relazione anche e soprattutto al timore degli effetti collaterali dei farmaci o all’atteggiamento di “non volersi sentire malati”. Il trattamento non farmacologico potrebbe intercettare questa larga fascia di popolazione e non lasciarla al proprio rischio cardiovascolare. Inoltre, va sottolineato che il rischio residuo di eventi vascolari in soggetti trattati, nei quali si sia raggiunto un controllo ottimale del colesterolo LDL, rimane marcato. Infatti, un’analisi degli studi clinici pubblicati e finalizzati ad una riduzione del colesterolo LDL a target, mostra una riduzione del rischio relativo compresa tra il 25 e il 40%, lasciando quindi una notevole porzione di pazienti (oltre la metà) che, nonostante tali trattamenti, va incontro ad eventi cardiovascolari fatali o non fatali.

I dati derivati dagli stessi studi che hanno documentato l’efficacia degli interventi terapeutici atti a ridurre le LDL suggeriscono che una porzione significativa del rischio cardiovascolare residuo è associata ai livelli di specifici lipidi plasmatici, differenti dal colesterolo LDL.

Limitandosi ad osservare questa parte del rischio residuo, è opportuno considerare il ruolo che giocano le HDL e soprattutto i trigliceridi plasmatici nella genesi delle malattie cardiovascolari.

Una quota significativa degli eventi cardiovascolari è infatti legata alla presenza di bassi livelli di HDL e/o a livelli elevati dei trigliceridi circolanti. In questa istanza vengono in soccorso la epidemiologia, la biologia e la biochimica di base che sempre più hanno contribuito a fornire prove non solo del ruolo dei livelli di colesterolo HDL e dei trigliceridi plasmatici quali fattori di rischio, ma anche a fornire studi di meccanismo di azione che forniscono un forte razionale per un ruolo causale nel determinare eventi che portano a malattia cardiovascolare.



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