Investire nella Rianimazione

La pandemia ha portato in risalto il ruolo professionale dell’anestesista. La ricerca ha segnato grandi passi in avanti estendendo il ventaglio delle sue competenze, tanto che la figura è definita in modo più completo: anestesista-rianimatore. Ne parliamo con un protagonista di questa figura professionale: Daniele Di Cerbo. È stato recentemente confermato rappresentante aziendale della categoria sanitaria presso l’Asl rm5.

Nella medicina attuale l’anestesiologia assume un ruolo sempre più importante. Ne tiene conto a sufficienza la Sanità italiana?

L’Italia in generale, ma direi proprio l’Europa, ha rivalutato il ruolo dell’anestesista-rianimatore durante queste epidemie di Covid perché lì il rianimatore ha avuto un grande ruolo nella ventilazione durante le insufficienze respiratorie. Gli anestesisti rianimatori sono i primi che si sono rimessi in campo. La Sanità ha dovuto fare investimenti importanti per adeguarsi a queste nuove esigenze. Sotto il profilo tecnico e tecnologico c’è stato un grande investimento sperando che continui.

Qual è il giusto rapporto tra numero di chirurghi e anestesisti? Questo rapporto è rispettato negli attuali standard sanitari?

Non c’è un giusto rapporto. Bisogna vedere come è strutturata l’unità sanitaria. Se c’è una prevalenza chirurgica o no. Dipende anche dal numero di sale chirurgiche, ma non bisogna confondere il ruolo dell’anestesista-rianimatore in senso più ampio. La figura del rianimatore e anestesista non dipende solo dalla chirurgia ma anche che prepara il paziente e prepara il paziente nel post operatorio, è colui che fa la terapia del dolore, è colui che sta nelle rianimazioni. Il rapporto rianimatori anestesisti non è legato ai chirurghi.

Una frase che si ripete in ogni convegno di Medicina è che i sistemi di cura del terzo millennio non hanno bisogno di convivere col dolore del paziente. Ritiene sia effettivamente raggiunta questa idealità?

Sicuramente il dolore è un elemento fondamentale. Una volta il dolore faceva parte dei malati oncologici ma anche delle donne al momento del parto. Oggi non è più così. Oggi la prescrizione è più facile quindi il paziente è più facilitato e prescrivere un oppioide è molto più semplice.

La Sanità in riforma ha bisogno di tante piccole strutture che vengono chiamate Casa della Salute. C’è un impegno e un ruolo specifico in questo tipo di realtà sanitarie per l’anestesista?

Nella Casa della Salute possiamo trovare qualche anestesista che svolge attività ambulatoriale come la terapia del dolore. C’è questo ruolo perché esiste anche questa specializzazione della terapia del dolore.

Il giudizio dell’anestesista è sempre più determinante per decidere sull’intervento chirurgico. Ci sono margini del dubbio da parte dello specialista in anestesia sulla praticabilità del tipo di intervento? Oppure la scelta è sempre chiara ed evidente?

Diamo una base di rischio chiamata ASA da uno a cinque. (Cinque è il paziente morente). Diamo un grado di rischio. Nessuno può prescindere. L’anestesista non è colui che dice che non si può operare. È il chirurgo che decide insieme al paziente attraverso la valutazione di rischio. Se il paziente comunque decide di farlo lo può fare ma sapendo che

L’innovazione della ricerca ha fatto passi in avanti?

La ricerca ha sviluppato tecniche molto più selettive. Oggi molto spesso è possibile non sedare totalmente il paziente. Una volta si addormentavano tutti i pazienti oggi si anestetizza un solo nervo abbassando il rischio della mortalità e anche lo stress operatorio.

Quali sono i nuovi fronti della scienza e della ricerca per l’alleviamento del dolore e per la sedazione finalizzata all’intervento?

È proprio la mentalità che sta andando avanti. La cultura che sta crescendo e sta abbattendo ogni barriera e che sta arrivando a un buon livello di sedazione per consentire al malato gravissimo di accompagnarlo verso la dipartita senza vivere uno straziante dolore fino alla fine.