La felicità in tre varianti genetiche

Sono coinvolti ai sintomi della depressione e legati a varie forme di nevrosi

Le famiglie felici si somigliano tutte. Le infelici ciascuna lo è a sé”. L’incipit del romanzo Anna Karenina esprime chiaramente la soggettività dello stato di felicità o infelicità, non solo per le cause, ma anche per la sintomatologia. Nondimeno la prospettiva della ricerca consiste nel ridurre attraverso terapie specifiche questa fenomenologia. Forse si sta preparando una felicità chimica. Forse saremo omologati anche nei livelli di soddisfazione esistenziale. Ma se si riuscisse a limitare fortemente l’insorgenza del crinale depressivo sarebbe una grande conquista nella società.

La ricerca in questione è stata possibile grazie al lavoro su trecentomila persone. Se n’è analizzato il genoma e i risultati dello studio sono stati pubblicati su Nature genetics.

Essendo stato analizzato solo una piccola parte del Dna si ritiene che approfondendo la ricerca si possano scoprire altri geni deputati a concorrere nella sensazione di benessere nelle persone. Ma laddove si scoprano tutti i geni impegnati a dare la dimensione di forza interiore, di propulsione dalla mente e dagli atti, di intraprendenza, di ottimismo nelle cose della vita, il lato controverso consiste proprio nella capacità di correggere uno stato alterato di queste dimensioni. Come se ciascuno non avesse il diritto di vivere la propria infelicità, come effetto autentico della propria vita. In tal senso la felicità sarebbe una condizione obbligata, da stato orwelliano. Altra efficacia invece sarebbe dimostrata riuscendo a sconfiggere la depressione. Ma se questo risultato fosse raggiunto non è detto che la depressione sarebbe spiegata. Quindi, non potremo dire di averla sconfitta definitivamente.